+33 (0)1 30 86 07 80 contact@mecobat.com

Cos’è il Social Housing?

Al giorno d’oggi è sempre più difficile trovare un alloggio perché il prezzo degli affitti, soprattutto nel centro delle grandi città, è in costante aumento mentre molte famiglie devono sempre più fare i conti con le difficoltà economiche. Le famiglie, i giovani studenti e lavoratori, gli anziani e le persone con disabilità sono sempre più costretti ad allontanarsi dai centri cittadini e a vivere in appartamenti condivisi o stare con i propri genitori fino a quando non hanno superato una certa età. Per esempio, per uno studente o giovane lavoratore, una camera condivisa a Milano, costa in media minimo 600€/mese.

Anche la crisi Covid-19 e il conseguente isolamento in casa, il cambio repentino delle modalità di lavoro che ha lasciato spazio ad una crescita esponenziale dell’utilizzo dello smart working e le conseguenze economiche che si sono improvvisamente manifestate nella vita di molte persone, hanno riportato al centro del dibattito il tema dell’abitazione.

Ecco perché, l’edilizia sociale diventa una vera soluzione per affrontare molte di queste problematiche.
Tuttavia, prima di tracciare un piccolo parallelo tra la situazione dell’housing sociale in Italia e in Francia, definiremo cos’è il Social Housing in Italia.

In Italiano il Social Housing viene tradotto come “edilizia residenziale sociale” oppure come “edilizia sociale”. Il Decreto ministeriale del 22 aprile 2008 lo definisce come “l’unità immobiliare adibita a uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato”

L’Habitat Social in Francia

(https://www.cairn.info/revue-regards-croises-sur-l-economie-2011-1-page-244.htm

In Francia, l’edilizia sociale è un dibattito a cuore per il Paese e della sua attualità da molto tempo.

Nel 1891, “La Ruche” a Saint-Denis è diventato il primo complesso HBM (alloggio a basso costo) collettivo e individuale.

Dopo la seconda guerra mondiale ci fu una vera e propria crisi abitativa, a causa dei numerosi bombardamenti. A ciò si aggiunsero una demografia e un’urbanizzazione sempre crescenti. Gli HBM sono diventati HLM (Habitation Loyer Modéré) e ci fu una vera politica economico-sociale in questo settore che ha portato alla costruzione di molti alloggi sociali. Lo Stato forniva contributi finanziari per produrre massicciamente alloggi dignitosi, a prezzi ridotti.

Dopo il 1954, furono prodotti molti grandi progetti HLM per far fronte alla crescita della popolazione e alla carenza di alloggi. L’obiettivo era più quantitativo che qualitativo e questo lo si può evincere anche dall’importante uso del prefabbricato. Il piano del ministro Pierre Courant prevedeva addirittura la costruzione di 240.000 alloggi all’anno in quel periodo.

(https://fr.wikipedia.org/wiki/Logement_social_en_France)

Con la “Legge di Solidarietà e Rinnovamento Urbano” del 2000 si è intervenuto su agglomerati urbani con più di 50.000 abitanti imponendo ai loro comuni appartenenti e con più di 3.500 abitanti (1.500 in Île-de-France) di avere il 20% di alloggi sociali entro il 2025, un percentuale alzata al 25 % nel 2014 per rispondere soprattutto ad una logica di diversità sociale. Nel 2003 è stata varata la legge di “Orientamento e Pianificazione della Città e di Riqualificazione Urbana” che comporta la distruzione di edifici insalubri ubicati nei quartieri centrali e la ricostruzione, nello stesso numero di unità abitative sociali abbattute, di nuove abitazioni sempre con l’obiettivo di attirare le classi medie nei quartieri “stigmatizzati” e di distribuire le diverse classi sociali in modo spaziale e uniforme.

L’edilizia sociale in Francia ha quindi lo scopo di mettere a disposizione, a seguito di un’iniziativa pubblica o privata, alloggi destinati a persone il cui reddito non supera determinati livelli all’interno delle classi lavoratrici di riferimento e della classe media. Come visto nel caso di 3F, si occupa della costruzione di alloggi ma anche la gestione dell’occupazione di questo patrimonio immobiliare.

L’edilizia sociale fa parte della politica dell’edilizia popolare e dell’economia sociale. E’ stata quindi creata con l’obiettivo di migliorare le condizioni abitative delle classi popolari e medie prendendo a riferimento l’articolo 140 della legge “Solidarietà e Rinnovamento Urbano” che specifica “qualsiasi persona o famiglia che presenti particolari difficoltà ha diritto a questo tipo di alloggio a causa in particolare dell’inadeguatezza delle proprie risorse o delle proprie condizioni di vita”. E’ quindi uno strumento volto a rispondere al diritto alla casa di ogni persona e/o famiglia.

I massimali di canone di affitto e di reddito per gli inquilini sono fissati ogni anno per decreto ma possono differire a seconda della località, del tipo di contratto e della composizione dei nuclei familiari degli inquilini presi ad esame per ogni caso specifico. Per poter mantenere bassi gli affitti, le autorità pubbliche mettono a disposizione strumenti quali aiuti indiretti corrisposti non all’inquilino ma al locatore sotto forma di agevolazioni finanziarie, sussidi, detrazioni fiscali, ecc. Questo strumento è soggetto però a condizioni sulla qualità degli alloggi e sull’importo degli affitti. Le politiche abitative, compreso il controllo degli affitti, possono essere utilizzate per limitare gli effetti negativi delle carenze o per mantenere il patrimonio abitativo a livelli di affitto più sostenibile per la maggior parte degli inquilini.

L’edilizia sociale può riguardare grandi complessi, piccolo collettivo, individuale, in condominio, edilizia suburbana, ecc. e ne esiste di diverse tipologie:

• Alloggi (pubblici o privati) che consistono in abitazioni a basso costo e sono costruiti e gestiti da un ente pubblico o privato.
• Abitazioni sovvenzionate o in appalto, costruite e talvolta gestite da società private.
• Cooperative di abitazione la cui formazione è stata sovvenzionata e assistita dalle autorità pubbliche. Queste ultime sono viste come una via più facile verso la proprietà della casa, favorite per ragioni di autonomia finanziaria per le famiglie e di maggiore responsabilità civica per i proprietari.

In Francia, dal gennaio 1977, l’alloggio ha acquisito la qualifica di edilizia sociale mediante l’accordo tra il locatore sociale e lo Stato. Lo scopo principale è quello di dare al futuro inquilino il diritto di beneficiare dell’Indennità Abitativa Personalizzata. Fissa inoltre gli obblighi per il locatore in contropartita dei vantaggi di cui gode per la costruzione o ristrutturazione degli alloggi. Il rispetto del tetto dell’affitto e del tetto delle risorse dei beneficiari sono i due principali obblighi del locatore sociale. Il testo dell’accordo prevede anche un diritto di prenotazione da parte dello Stato sul 30% degli alloggi interessati dall’operazione in convenzione.

Tutte le organizzazioni per l’abitazione sociale appartengono a federazioni, a loro volta raggruppate all’interno dell’Unione Sociale per l’Abitazione. Le principali organizzazioni sociali sono gli uffici di edilizia popolare e le imprese di edilizia sociale, di cui fa parte 3F.

In Francia, l’edilizia sociale è finanziata da diversi soggetti quali:

• lo Stato tramite sussidio basato sulla vocazione sociale del progetto, esenzioni fiscali, IVA ad aliquota ridotta e il pagamento dell’Assistenza abitativa personalizzata direttamente al locatore;
• gli Enti Locali concedendo ulteriori sussidi a quelli dello Stato;
• l’Action logement20 che corrisponde alla Partecipazione dei datori di lavoro alla costruzione e che promuove l’alloggio per i dipendenti;
• La Caisse des Dépôts et Consignations, storico prestatore di alloggi sociali che finanzia tramite prestiti i cui tassi di interesse sono notevolmente inferiori a quelli di mercato.

… e in Italia? L’Abitazione Sociale in Italia

(http://www.programmaurbano.it/numero-11/housing-sociale.html)

Anche in Italia, dagli anni Novanta, la “questione casa” è tornata a essere un tema centrale del dibattito sociale e politico a seguito dell’emergere di nuove e più diffuse forme di disagio abitativo. Vi è stato un mutamento della domanda di abitazioni che focalizza il proprio disagio sull’insostenibilità delle spese per l’abitazione piuttosto che sulla domanda di alloggi in proprietà o in cui vivere.

A fronte del progressivo impoverimento delle famiglie e della scarsa offerta di alloggi economicamente accessibili sul mercato, diventa una vera e propria emergenza sociale. A questo si aggiungono altri fattori come la perdita di efficacia delle politiche a sostegno dell’abitazione per la mancanza di fondi pubblici e per inefficienze legate alla gestione del patrimonio esistente.

Tra le conseguenze troviamo una progressiva contrazione dell’offerta residenziale pubblica che deve fare i conti con alcuni fattori di criticità come l’alta percentuale di case in proprietà che ha sempre caratterizzato il mercato immobiliare italiano, l’esiguità del patrimonio di edilizia pubblica, la concentrazione delle risorse disponibili per l’abitazione e l’alto numero di richieste in continuo aumento dovuto anche alla diminuzione del potere d’acquisto dei salari e, di conseguenza, l’impoverimento delle famiglie italiane. Dal punto di vista sociale uno dei principali fattori è il mutamento della struttura dei nuclei familiari, che presentano dimensioni sempre più ridotte.

(https://www.lenius.it/questione-abitativa-italiana/)

Il sistema abitativo italiano è, ad oggi, considerato “duale” in quanto esiste un mercato abitativo “normale” su cui operano i privati e uno sociale in cui opera il pubblico con l’offerta di case popolari (edilizia sociale o social housing).

La gran parte delle abitazioni però, circa 7 su 10, sono case di proprietà che sono considerate in Italia un investimento sicuro. La proporzione nel mercato abitativo italiano è dunque circa questa: 70% di case in proprietà, 20% di case in affitto, 10% di case utilizzate con altre modalità, come il comodato e l’usufrutto. Altra caratteristica del sistema abitativo italiano è la bassissima quota di edilizia sociale, quindi di abitazioni utilizzate per scopi sociali, anche note come case popolari. Le famiglie che vivono in case popolari in Italia sono circa il 3-4% del mercato abitativo. Si tratta di una caratteristica permanente del nostro sistema abitativo, essendo una quota che negli ultimi 30 anni è rimasta tra il 3 e il 5%. E’ quindi un mercato che non è mai stato realmente sviluppato e dal 1998 il settore non ha praticamente più avuto finanziamenti.

La gestione dell’edilizia sociale è ad oggi in mano alle Regioni che, in assenza di contributi statali, hanno preso a finanziare l’edilizia pubblica in modo frammentato e, generalmente, del tutto insufficiente mentre contemporaneamente molti alloggi pubblici sono stati venduti a chi li abitava. Il conteggio nazionale è inoltre complicatissimo perché le graduatorie sono comunali e i dati non sono disponibili e aggiornati per tutti i comuni allo stesso tempo e allo stesso modo.

In Italia gli alloggi sociali sono destinati alle famiglie più povere, secondo criteri di accesso che vengono stabiliti dalle Regioni e applicati e verificati dai Comuni, e hanno quindi un’estrema varietà territoriale. Il criterio principale è quello del reddito, anche se vengono spesso attribuite premialità a condizioni particolari come la presenza di persone con disabilità o anziane. Vi è inoltre la grande questione dell’edilizia sociale italiana che è caratterizzata da pochissimo turnover. Chi entra in una casa popolare tende a rimanerci tutta la vita, anche se le condizioni che ne avevano garantito l’accesso si modificano e escludendo molti nuclei familiari che avrebbero diritto all’accesso ad una casa popolare e svantaggiando in particolare giovani e immigrati.

Le modalità di determinazione del canone variano da regione a regione in base principalmente a due parametri: i dati dell’alloggio (ubicazione, superficie, condizioni) e i dati relativi al reddito dell’inquilino. Si tratta di canoni che non sono comunque sufficienti a coprire i costi di gestione degli enti pubblici creando il problema che più accoglie persone povere e deboli (che sarebbe il suo scopo), più è insostenibile.

Ecco che negli ultimi anni si è affacciato un altro soggetto nel settore abitativo: il terzo settore. Lo Stato in questo caso si limita a supportare economicamente progetti abitativi e sociali gestiti poi da cooperative che reperiscono alloggi da destinare a scopi sociali, anche a quella fascia grigia del ceto medio-basso che non riesce ad accedere all’edilizia sociale. Si tratta tuttavia di una fetta di mercato ancora residuale e non in grado di fronteggiare l’enorme bisogno presente nel paese.

Dal punto di vista della progettazione e della programmazione finanziaria spesso sono coinvolti soggetti pubblici e privati. Tra i pionieri italiani del settore si annoverano ad esempio Cassa depositi e prestiti, Regione Lombardia, Comune di Milano, Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo con il progetto Programma Housing.

Nonostante la complessità che si riscontra nel settore in Italia, possiamo dire che Milano è stata la città pioniera nel settore, ospitando il primo fondo immobiliare etico creato dalla Fondazione Housing Sociale nel 2004. Oggi la città detiene la quota maggiore di alloggi sociali a prezzi accessibili costruiti con i finanziamenti della SIF. Milano ha anche una quota significativa di alloggi di proprietà pubblica, e ALER sta investendo nel recupero delle case sfitte e ha recentemente lanciato un nuovo programma che applica l’affitto zero ai residenti anziani con più di 70 anni.

Esempi recenti di iniziative locali si segnalano anche in Emilia-Romagna, particolarmente a Bologna dove il Comune ha approvato un investimento di 61 milioni di euro per fornire mille unità abitative nel 2019-2020 in collaborazione con ACER. (source: https://wisesociety.it/piaceri-e-societa/social-housing/)

L’Italia sconta una certa arretratezza, ma sembra che la situazione sta cambiando in meglio. Con il decreto 193 del 3 maggio 2021, pubblicato il 5 luglio scorso, sono stati assegnati a 17 Regioni i 219 milioni di euro destinati ai progetti di edilizia residenziale sociale. (https://www.edilportale.com/news/2021/07/lavori-pubblici/edilizia-residenziale-sociale-assegnati-219-milioni-di-euro-alle-regioni_83649_11.html)

Come si può evincere dall’analisi contenuta nel presente approfondimento, a differenza della Francia, in Italia non c’è mai stata una politica così importante nel settore dell’edilizia sociale. Questo spiega il ritardo accumulato rispetto ad altri paesi europei e il crescente interesse per l’edilizia sociale.

Il social housing è stato realmente introdotto dalla Legge Finanziaria n°244 nel 2008 ma, nonostante questo, oggi in Italia la percentuale di alloggi in affitto sociale è ancora molto bassa (solo il 4% del parco abitativo è destinato ad alloggi di affitto sociale). Questo rende il paese, uno dei peggiori tra quelli europei in questo settore, come mostra il seguente grafico:

Percentuale di alloggi sociali per il patrimonio edilizio urbano totale in molti paesi

Come possiamo vedere, i Paesi Bassi sono il paese con la più alta percentuale di alloggi sociali con circa il 30% del loro parco urbano totale, che è la percentuale più alta in Europa. E’ tuttavia nel Regno Unito e in Francia che si registra il maggior numero di alloggi sociali in termini di quantità, con rispettivamente 4,9 e 4,8 milioni di unità (dati 2017, fonte: Housing Europe. State of housing in the European Union 2017).
La Francia può vantare quindi un vero know-how nel settore dell’edilizia sociale, cosa che auspichiamo molto presto anche per l’Italia.
(https://www.secondowelfare.it/governi-locali/housing/la-condizione-abitativa-in-europa-pubblicato-il-nuovo-rapporto/) (https://union-habitat-bruxelles.eu/le-logement-social-dans-lunion-europeenne)

Pin It on Pinterest

Share This

Share this post with your friends!